Home Altri Sport RAMAGLIETTA E L’AMORE PER IL CALCIO:”LAVORO SODO PER MIGLIORARMI”

RAMAGLIETTA E L’AMORE PER IL CALCIO:”LAVORO SODO PER MIGLIORARMI”

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Quando si gioca in strada, in genere, il più scarso va a porta, ma in campo l’ultimo uomo da superare, l’ultimo baluardo di una squadra è il portiere e Francesco Ramaglietta è “un portiere” sin da quando si è avvicinato al calcio
– Può sembrare una domanda banale, ma portieri si nasce o si diventa?
“Portieri lo si nasce assolutamente, bisogna avere una vocazione per questo ruolo, non é per tutti. Richiede attenzione, dedizione e soprattutto cura dei singoli dettagli, perché se sbagliamo noi non c’è nessuno a coprirci le spalle, anzi, noi siamo gli unici a poter coprire le spalle dell’intera squadra, ecco perché si dice sempre che il portiere è un uomo solo, anche quando si allena”.

– Mi racconta la sua storia calcistica?
“Come ho detto bisogna avere una vocazione per questo ruolo ed io, da quando ho iniziato a giocare a calcio, ho sentito questa attrazione, sapevo che era ciò che faceva per me e, anche grazie al mio primo allenatore Salvatore Schioppo, sono riuscito a convincere mio padre, che non era proprio contento, ma alla fine ha ceduto quando il mister, con parole che ancora ricordo gli disse: “tuo figlio è nato per fare il portiere”. Così ho mosso i primi passi nel 2010 nei Giovanissimi Nazionali della Cavese 1919, poi nell’ Arzanese, nell’ Aversa Normanna, con 2 convocazioni in Lega Pro e una piccola parentesi nella Promozione Laziale. Non sempre è facile conciliare la vita scolastica con quella sportiva e, per terminare i miei studi liceali, presi la sofferta decisione di smettere, ma il campo aveva un richiamo irresistibile, così, ho ripreso con una squadra del mio quartiere: l’ Interpianurese che ringrazio ancora oggi per avermi dato la possibilità di rientrare nel mondo del calcio, e con cui ho vinto il campionato di 2° Categoria. Altra vittoria che ricordo con gioia e soddisfazione è il passaggio dalla 1° Categoria alla Promozione con il Pianura calcio che ho dovuto, poi lasciare per problemi personali. Attualmente sono un tesserato dell’ ex FC Loggetta, oggi Fortitudo Campi Flegrei, che nonostante il mio “rifiuto” dell’estate precedente mi ha ricercato con forza così non ho potuto dire di no a Mister Imparato e a tutta la società che ancora oggi mi dimostrano piena fiducia e che purtroppo, a causa del Covid, non sono riuscito ancora a ricambiare del tutto e soprattutto come meritano”.

– Perché, oggi, tra gli addetti ai lavori manca il coraggio e/o la voglia di lanciare nuovi portieri?
“Da qualche anno ormai, il ruolo del portiere è condizionato dalla prestanza fisica, e forse questa é una mentalità del tutto, o quasi, italiana, perché basta vedere come portieri di un certo livello mondiale come Casillas, Ospina, Kepa, Pickford non superino il 185cm e comunque, nonostante non abbiano un’elevata prestanza fisica, sono in grado di dare sicurezza all’intera squadra. Credo sia questo uno dei problemi principali che segnano le scelte degli addetti ai lavori di oggi e non solo. Per fortuna il portiere non é solo altezza, c’è tanto altro che in pochi osservano”.

– Il ruolo di portiere è difficile: guida la difesa, ordina gli uomini. Che rapporto ha in campo con i suoi compagni?
“In campo il mio rapporto é di amore e odio; molto spesso, soprattutto in queste categorie, bisogna farsi sentire senza tener conto dell’età o dell’anzianità di chi è dall’altro lato, proprio perché è da un nostro errore o da una nostra parata che si decidono le partite e spesso anche i campionati. Per fortuna, alla Fortitudo ho dei compagni che mi seguono, ho sentito sin da subito la loro fiducia e viceversa, per questo si è creata una coesione unica e difficilmente replicabile. A questo si aggiunge che il nostro ruolo è profondamente cambiato negli anni ed io ho lavorato tanto per migliorare, soprattutto con i piedi, e qui alla Fortitudo, mister Imaprato mi chiede soprattutto questo, in modo tale da essere sempre nel vivo di ogni azione di pensare come un difensore o un centrocampista aggiunto così da poter innescare azioni utili alla finalizzazione”

– Alcuni ben informati mi dicono che ha un soprannome
“In effetti sì, lo Stregatto. Qualche anno fa, quando militavo nell’Interpianurese fosti proprio tu, loro addetta stampa a chiamarmi così, facendo riferimento al sorriso che avevo dopo aver parato un rigore, in quella stagione furono 6, usando lo stesso nomignolo con cui mi richiamavi in classe, quando sorridevo dopo un bel voto, vero maestra Graziella?”

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